Il Progetto

viDEONTOLOGIA è un progetto del Consiglio Nazionale Forense, curato dalla Fondazione dell’Avvocatura italiana, per discutere di deontologia, del suo insegnamento, utilizzando strategie didattiche diverse, basate sull’esperienza e sul coinvolgimento diretto del soggetto che apprende, finalizzate a far sì che le persone imparino a riconoscere da sole le situazioni nelle quali una norma deontologica può e deve trovare applicazione, a stimolare riflessioni e discussioni tra colleghi da cui ricavare un vero e duraturo apprendimento.

 

Una sperimentazione per la didattica forense   di Giovanni Pascuzzi

La nuova legge professionale ha attribuito al Consiglio Nazionale Forense e agli Ordini territoriali (tramite le Scuole forensi) compiti molto importanti in campo formativo. Si pensi innanzitutto alla formazione per l’accesso alla professione e alla formazione continua, ma anche alla formazione per ottenere l’iscrizione all’albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori ovvero per conseguire il titolo di avvocato specialista.

Possiamo definire «formazione» l’insieme di attività che consente ad un soggetto di apprendere una conoscenza.  Un corso formativo per l’accesso alla professione, ad esempio, consente di apprendere i saperi necessari ad esercitare con competenza la professione di avvocato.

Ogni percorso formativo deve individuare degli obiettivi di apprendimento e porre in essere le strategie didattiche più idonee a raggiungere detti obiettivi.

Sempre a titolo di esempio, un avvocato competente deve certamente conoscere i suoi doveri di natura deontologica. Ed, infatti, tanto nella formazione per l’accesso quanto nella formazione continua grande spazio è dedicato alla materia deontologica.

Ma come si insegna la deontologia?

Si può ricorrere a strategie didattiche classiche come può essere la lezione frontale nella quale un docente spiega i contenuti del codice deontologico illustrando e commentando ogni singolo articolo. Oppure a un approccio di tipo casistico, cioè alla mera esposizione di una vicenda concreta prestrutturata e preconcepita utile a introdurre la trattazione teorica di cui sopra.

Queste forme di didattica tradizionale, pur importanti, a volte non sono davvero appaganti specie se utilizzate nella formazione degli adulti. Si possono perseguire i medesimi obiettivi formativi (nel nostro caso: insegnare la deontologia) utilizzando strategie didattiche diverse. Strategie maggiormente basate sull’esperienza e sul coinvolgimento diretto del soggetto che apprende.

Molto importante è che le persone imparino a riconoscere da sole le situazioni nelle quali può e deve trovare applicazione una norma deontologica. A volte accade, infatti, che l’avvocato ponga in essere dei comportamenti in automatico, per averli visti compiere o per averli sempre attuati senza fermarsi a riflettere sul fatto che gli stessi possono integrare un illecito deontologico. Dal punto di vista didattico è importante analizzare queste situazioni per dar vita ad una riflessione e quindi ad una discussione tra più colleghi da cui ricavare un vero e duraturo apprendimento.

Di qui è nata l’idea presentata in questo sito.

Girare dei filmati di vita concreta nelle aule di giustizia e negli studi professionali che ritraggono situazioni suscettibili di innescare possibili problemi deontologici. Si tratta anche qui di un approccio casistico, ma molto diverso da quello descritto come tradizionale: il caso non è prestrutturato ma deve essere enucleato e riconosciuto all’interno di un contesto più ampio. Perché riconoscere un problema giuridico è una abilità dell’avvocato importante esattamente quanto quella di riuscire a risolverlo (sia permesso il rinvio a G. Pascuzzi, Giuristi si diventa, Il Mulino, Bologna, 2013 pp. 99 ss.). Il lavoro dell’avvocato parte da avvenimenti della realtà ricchi di particolari, sfumature, contraddizioni che egli deve inquadrare in fattispecie giuridiche. A volte questi avvenimenti riguardano i comportamenti stessi degli avvocati e la loro eventuale rilevanza sul piano deontologico. Si può pensare ad un metodo casistico dove prima ancora della soluzione ci si deve addestrare a trovare lo stesso problema perché quest’ultimo può celarsi nelle pieghe della realtà al punto da non apparire, almeno a prima vista, come tale. Ed è appunto l’ipotesi in cui si continua ad osservare un comportamento per inerzia senza rendersi conto che lo stesso deve essere stigmatizzato sul piano deontologico.

Guardando un filmato non ci si trova di fronte ad un problema deontologico già definito, ma occorre interpretare ciò che si è visto, separando ciò che è rilevante da quello che non lo è, al fine di capire se esso sostanzia un problema deontologico che necessita una soluzione.

Il tentativo è quello di provare a costruire delle strategie didattiche innovative insieme agli avvocati che presso le Scuole forensi italiane si occupano di formazione (per l’accesso e continua). Questo esperimento si rivolge, infatti, alla comunità di pratica impegnata a formare e aggiornare gli avvocati italiani. Per molti versi si aspira a costruire una forma di insegnamento/apprendimento collaborativo.

Il sito parte con alcuni «filmati campione» ideati, interpretati e girati da colleghi avvocati presso alcuni ordini territoriali da Nord a Sud. Ma, come detto, si tratta solo di esempi che devono essere considerati come mero invito rivolto a tutti coloro che operano nelle Scuole forensi a produrre filmati simili di qualità sempre crescente. Non a caso la videata base riproduce la cartina dell’Italia suddivisa in Regioni e circoscrizioni territoriali. Sarebbe bello se le Scuole di tutti gli ordini postassero un proprio filmato.

I passaggi per realizzare i video sono molto semplici. Occorre:

– determinare l’obiettivo formativo;

– immaginare la scena di vita professionale nella quale la conoscenza di tale obiettivo formativo è indispensabile;

– scrivere la sceneggiatura dell’episodio e il copione delle battute che ciascun interprete deve recitare;

– trovare gli «attori» tra i colleghi;

– recitare e filmare la scena (è importante che non sia molto lunga: 3-5 minuti);

– spedire il filmato al sito affinché venga caricato e messo a disposizione di tutti.

L’insieme dei filmati costituirà un archivio cui accedere per organizzare, nelle singole sedi, eventi formativi inerenti gli specifici obiettivi di apprendimento propri della deontologia professionale.

Si può insegnare e far apprendere la deontologia forense ricorrendo a strategie didattiche diverse. Qui se ne propone di farne nascere una dal lavoro sinergico tra i formatori delle Scuole forensi italiane. La vitalità che i formatori hanno sempre manifestato non può che rendere certi del successo dell’esperimento.

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La nuova deontologia   di Carla Broccardo

Il 2014 rappresenta per l’ordinamento forense un momento di profondo cambiamento, con l’istituzione dei Consigli distrettuali di disciplina a cui la legge 31 dicembre 2012, n. 247 attribuisce la potestà disciplinare, e con l’entrata in vigore del nuovo Codice deontologico forense, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 16 ottobre 2014.

Nell’attuale fase di forte crisi dei valori etici e morali, crisi che caratterizza tutti gli strati della società, emerge per reazione un’altrettanto forte esigenza di moralità e di recupero di valori, che traspare anche dai vari movimenti di cittadini per una riforma della società. In questa cornice appare sempre più evidente la necessità dell’insegnamento della deontologia, cioè dell’insieme delle norme riguardanti diritti, ma soprattutto i doveri e le responsabilità del professionista nei suoi rapporti con i clienti e con i colleghi. Questo non solo perché è diritto e dovere dell’avvocato esercitare la professione in modo indipendente, leale e diligente, ma anche perché – come operatore sul campo con un chiaro ruolo di garanzia dell’effettività della tutela dei diritti, attribuito espressamente dall’art. 3 della legge n. 247/2012  – ad esso si guarda come modello di riferimento nella società.

E oggi appare anche un’altra cosa in modo altrettanto chiaro: la diffusione della tecnologia, con molteplici alternative nella scelta del mezzo e modalità di comunicare, impone anche in ambito forense una comunicazione adeguata ai tempi e alle possibilità dei media. L’attenzione ai temi della deontologia va stimolata con gli stessi strumenti della comunicazione di massa, dai social network ai video e oltre. Nel mondo fluido attuale, dove ogni giorno nasce un’innovazione, va data la giusta importanza alla sperimentazione, perché i tradizionali sistemi di comunicazione e apprendimento mutano, spesso – anche se non sempre – migliorando i risultati e le stesse tecniche da impiegare.

Quindi non bisogna temere di provare nuove tecniche, applicare nuove idee, cogliendo le sinergie tra professionisti e mondo accademico, tra professionisti e informatici, artisti, ecc.

In questo processo di trasmissione e apprendimento della deontologia professionale è importante che siano gli avvocati stessi ad occuparsene, non solo per la delicatezza e la specificità del tema ma anche per consolidare quei legami intergenerazionali tra gli avvocati nell’ambito dell’Ordine e delle scuole forensi. Sono legami che facilmente inducono relazioni di rete non solo all’interno dello stesso foro ma anche fra città diverse, con utili scambi di esperienze e di percorsi che cementano rapporti professionali e sociali.

Non a caso una pagina del sito è dedicata alla mappa della deontologia: per tutti i distretti la deontologia è una, anche se modi, linguaggi e inflessioni sono diverse.

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Strumenti per la condivisione della conoscenza, anche deontologica  di Juri Rudi

L’anno zero della deontologia, sia sostanziale (per il nuovo Codice) sia processuale (per il nuovo procedimento disciplinare, peraltro dinanzi ad un nuovo giudice di prossimità), è un’imperdibile occasione per innovare anche il modo con cui si studia la deontologia stessa.

A tal fine, le nuove tecnologie consentono di perseguire lo scopo didattico attraverso una più efficace condivisione della conoscenza, con un transfert pedagogico non soltanto di tipo verticale (cioè da chi stabilisce la regola da conoscere, a chi deve osservarla), ma anche orizzontale (cioè mediante un apprendimento cooperativo con condivisione del sapere tra pari).

Attraverso Internet, e quindi siti web, mailing list, forum di discussione, chat, documenti condivisi on line, ecc. il rapporto tra insegnanti e studenti supera i limiti fisici dello spazio e del tempo, permettendo una altrimenti impossibile connessione, cioè un legame di stretta relazione e interdipendenza tra docente e discente, a tutto beneficio di entrambi.

Ma questo nuovo mezzo tecnologico, per quanto straordinario, rimane pur sempre uno strumento, ed in quanto tale non assurge alla dignità del fine, dello scopo, che è appunto quello di studiare, nel miglior modo possibile, la nuova deontologia.

Obiettivo, questo, tuttora affidato alla buona volontà delle persone, e non delle macchine, che ne sono appunto prive.

La regia consapevole   di Giulia Merlo

Il compito del regista è di dare corpo alle scene, a partire dal copione.Dare corpo significa inserire in scena gli elementi che aiutano lo spettatore a capire il contesto, dare agli attori le indicazioni necessarie per muoversi correttamente nello spazio e costruire sequenze dinamiche, che diano il senso dello scorrere degli eventi.

Nel caso di viDEONTOLOGIA, il mio compito di regia è stato facilitato dal mio percorso di pratica forense. La conoscenza del mondo giuridico, della vita di tribunale e anche di studio mi hanno aiutata a dare forma a un “mondo” verosimile in cui far muovere i personaggi, e soprattutto a trovare il modo più efficace per comunicare alcuni elementi che dovevano essere intuiti dallo spettatore, ma non mostrati esplicitamente.

Questo, perché lo scopo di questi brevi cortometraggi è quello di stimolare una riflessione, di proporre più livelli interpretativi e, auspicabilmente, anche di creare dibattito. Le sequenze, dunque, dovevano essere allusive ma non direttamente suggestive di una soluzione, sottolineare alcuni passaggi dei dialoghi lasciando intuire gli elementi rilevanti, ma senza banalizzarli.

 

Coordinamento del progetto a cura dell’avv. Elena Negri

 

 

 

 

Con la collaborazione degli avvocati  Anna Salvalaggio e Giovanni Salvi

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